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Mondadori e quella causa “dirottata” sul binario morbido

Altro che banda di inconcludenti. La P3, come è stata ribattezzata con un po’ di enfasi, spesso riusciva a ottenere il risultato. E il beneficiario finale di tanto lavorio oscuro talvolta era proprio Silvio Berlusconi, il capo di quel Denis Verdini che per il Gip era interno al “sodalizio”. Nelle sue telefonate intercettate durante l’indagine di Trani, il premier si diceva molto preoccupato con il suo fido commissario dell’Agcom per una questione fiscale: “È una cosa pazzesca”, spiegava a Giancarlo Innocenzi, “ho il fisco che mi chiede 900 milioni”. Proprio in quei giorni, uno degli arrestati per l’associazione segreta che voleva intervenire sugli organi costituzionali – Pasquale Lombardi – si muoveva per risolvere il suo problema. Ovviamente a sua insaputa.

Ieri abbiamo raccontato le pressioni della lobby segreta per ottenere la nomina di Alfonso Marra alla presidenza della Corte di Appello di Milano. Il caso fiscale di cui ci occupiamo oggi è ancora più inquietante. Se la nomina di Marra poteva influire solo indirettamente sui processi pendenti di Mediaset, nel caso fiscale la trama della “nuova P2” interessa direttamente le casse della famiglia Berlusconi.

Tutto ruota intorno al ricorso in Cassazione presentato dalla Mondadori e che riguarda un accertamento da 200 milioni di euro che, con gli interessi può arrivare, non ai 900 milioni del Cavaliere catastrofista, ma a 350 milioni. Pasquale Lombardi, il giudice tributario campano arrestato insieme a Flavio Carboni e Arcangelo Martino, si è mosso in quel periodo per ottenere lo spostamento della causa alle sezioni unite della Cassazione, considerate meno pericolose per la Mondadori. Questa vicenda non è contestata nell’ordinanza del Gip Giovanni De Donato. Ma al Fatto Quotidiano risulta che è considerata molto interessante dagli inquirenti. Il pm Capaldo ha sentito nelle scorse settimane l’avvocato generale dello stato Oscar Fiumara e gli ha chiesto perchè l’avvocatura ha scelto di non opporsi al trasferimento alle sezioni unite.

La vicenda Mondadori inizia nel 1991 quando, a seguito di una fusione societaria, la casa editrice riesce ad abbattere le imposte. L’Agenzia delle entrate, sostenendo che l’operazione è stata architettata allo scopo di aggirare le norme fiscali, chiede alla società 200 milioni di euro. Mondadori impugna e vince sia in primo che in secondo grado. La vicenda, tecnicamente molto complessa, si trascina per un decennio e arriva in Cassazione su ricorso dell’Agenzia delle entrate, rapresentata dall’Avvocatura dello Stato. Mondadori vuole evitare la sezione della Cassazione competente in materia tribuataria, che in altri casi ha assunto una linea dura sull’elusione delle imposte e, grazie anche al presidente della Cassazione Vincenzo Carbone e al numero uno dell’avvocatura, Oscar Fiumara, entrambi amici di Lombardi, ottiene il suo scopo.

Quando la causa Mondadori finisce alle Sezioni unite, in molti notano la strana coincidenza con due emendamenti in finanziaria: il primo innalza l’età della pensione da 75 anni a 78 per i magistrati, una norma applicabile a Vincenzo Carbone e Oscar Fiumara. Il secondo introduce la possibilità di chiudere le liti pendenti con il fisco davanti alla cassazione – come il caso Mondadori – pagando il 5%.

Fortunatamente il capo dello Stato e l’Associazione Nazionale Magistrati si oppongono, così la proroga salta, Fiumara e Carbone si rassegnano alla pensione. Quando la giornalista Liana Milella mette in connessione il trasferimento della causa Mondadori da parte di Carbone con la proposta sulla sua pensione, il presidente minaccia querele e scrive che la rimessione alle sezioni unite è stata adottata perché chiesta da entrambe le parti (avvocatura dello Stato e legali della Mondadori). Ora si scopre che in quei giorni Lombardi – intercettato – diceva al sottosegretario Giacomo Caliendo, del Pdl, “sono stato dal presidente (Carbone) e ti ringrazia e disse guarda che Giacomo si impegna al massimo per quel/o che tu desideri … gli ho fatto… gli ho fatto prevedere i 3 anni… quindi lui… tutto contento e soddisfatto gli ho detto vedi che Giacomino ti sta facendo tutte le operazion i che vuoi tu quindi… ”.

Gli inquirenti stanno verificando le carte del trasferimento alle sezioni unite. Al Fatto, Oscar Fiumara dice: “Ero presente anche al convegno di Santa Margherita all’hotel Forte e le spese sono state coperte dal centro giuridico di Lombardi, come è accaduto in un altro convegno all’hotel Gallia di Milano. Certamente parlavo con lui ma non abbiamo mai affrontato il tema del trasferimento alle sezioni unite della causa Mondadori. Comunque quella rimessione non fu chiesta da noi, come sosteneva erroneamente la lettera spedita a La Repubblica dalla Cassazione. Insieme ai colleghi che seguono più direttamente la causa, gli avvocati Gianni De Bellis e Giorgio D’Amato, semplicemente non ci siamo opposti e ci siamo rimessi alla scelta del presidente Carbone”.

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La nuova P2 di Denis Verdini Ecco perché B. vuole il bavaglio

Il cuore del Popolo della libertà ha una vita segreta, un’attività sotterranea. Una “nuova P2” coagulata attorno al faccendiere Flavio Carboni. Le intercettazioni la svelano. Ed è per questo che Silvio Berlusconi dice che questa legge “è sacrosanta”

Il satrapo anziano vuole il bavaglio. “È sacrosanto”, ha detto a Studio Aperto, dopo aver fatto il giro delle radio e delle tv compiacenti, Tg1, Tg2, Tg4, per tentare di fermare gli smottamenti di consenso nella sua maggioranza e nel paese. L’eco delle sue parole risuona ancora in questo giorno di silenzio della stampa italiana. Un giorno in cui è più facile comprendere perché lo vuole a tutti i costi, il bavaglio: sono proprio le intercettazioni a permettere di sviluppare indagini come quella che ha scoperto una “nuova P2” coagulata attorno al faccendiere Flavio Carboni, non senza contatti con il coordinatore del Pdl Denis Verdini. Le intercettazioni, impietose, continuano a disvelare il fondo melmoso e occulto del potere italiano. Scoprono i giochi segreti che si svolgono attorno a Silvio Berlusconi.

Carboni, finito in manette giovedì con altre due persone,  è un “campione d’Italia”. Ha attraversato la storia di questo paese almeno a partire dagli anni Settanta, quando ha avviato affari con Berlusconi, sotto l’ombrello della P2, quella classica, quella di Licio Gelli, di Roberto Calvi (e, appunto, di Silvio Berlusconi, tessera numero 1816). C’è un rapporto storico tra Carboni e i fratelli Silvio e Paolo, fin dai tempi dei progetti edilizi in Costa Turchese, degli investimenti per Olbia 2. C’è una vecchia frequentazione tra Carboni e Marcello Dell’Utri.

Ma non è archeologia investigativa, quella che emerge dall’inchiesta di Roma sulla “nuova P2”. Ci sono, da una parte, gli affari da realizzare oggi: nel settore dell’energia eolica in Sardegna, per esempio, con rapporti stretti con i vertici del potere politico dell’isola, su su fino al presidente della Regione Ugo Cappellacci. Ma, dall’altra, c’è di più. Quello che emerge è un sistema di potere. Il vecchio metodo della vecchia P2: determinare le scelte della politica, pilotare le decisioni della magistratura, teleguidare l’informazione, dirottare soldi e affari. Quel metodo continua anche oggi. Per esempio nei tentativi di influire sulla Corte costituzionale che nel 2009 doveva decidere sul Lodo Alfano (cioè sulla salvezza totale, sull’improcessabilità di Silvio Berlusconi alle prese con il processo Mills). A maggio 2009, a casa del giudice della Consulta Luigi Mazzella, a Roma, arrivano il suo collega Paolo Maria Napolitano, il ministro della Giustizia Angelino Alfano, il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Gianni Letta, il presidente della commissione Affari costituzionali del Senato Carlo Vizzini e lui, Silvio Berlusconi in persona. Una delle più imbarazzanti cene nella storia della Repubblica. Sui giornali esplode lo scandalo. Appare chiaro il tentativo di condizionare la Corte. Eppure il progetto non viene abbandonato. Quattro mesi dopo, a pochi giorni dal giudizio della Consulta, il lavoro iniziato è proseguito da Denis Verdini: il 23 settembre, infatti, il coordinatore del Pdl riunisce nella sua abitazione romana Carboni, Dell’Utri, il sottosegretario alla Giustizia Giacomo Caliendo, i magistrati Antonio Martone e Arcibaldo Miller, oltre ad Arcangelo Martino e Raffaele Lombardi (i due personaggi arrestati con Carboni nell’inchiesta romana).

L’obiettivo è influire sulla Corte perché non bocci (come invece farà) il Lodo Salvaberlusconi. Ma la superlobby segreta lavora anche per influire sulla decisione della Corte d’appello di Milano che deve valutare l’esclusione della lista Formigoni alle Regionali. Per pesare sull’attività del Consiglio superiore della magistratura. Per sostenere la candidatura di Nicola Cosentino alle regionali in Campania…

Il fatto che le manovre non riescano non assolve chi comunque le mette in atto, non sminuisce di un grammo le sue responsabilità. La “nuova P2” lavora a tempo pieno per sostituire gli interessi degli “affiliati” alle regole istituzionali, ai percorsi della democrazia. In questo sodalizio, che somma influenze massoniche e presenze opusdeiste (Dell’Utri), ha un ruolo centrale Denis Verdini. Ruolo politico, anche al di là dell’eventuale qualificazione giudiziaria. Verdini è, al tempo stesso, potente coordinatore del Pdl, banchiere di un piccolo Banco Ambrosiano pronto a finanziare gli amici, punto di riferimento degli uomini della “cricca”.

Il Popolo della libertà ha un cuore segreto, un’attività sotterranea. Le indagini dei magistrati, con le intercettazioni telefoniche e ambientali, possono svelarli. Ecco perché per Silvio Berlusconi, massimo punto d’equilibrio politico della “nuova P2”, la legge bavaglio “è sacrosanta”.

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